pubblicato il 27/02/2013
Comunicato n. 5 del 26-2-2013 (anche nel nostro sito, zona pubblica www.noicomit.it)
- In risposta al comunicato (titolato “risposta alla campagna promossa sul sito Anpecomit”) apparso nel sito del Fondo Pensione Comit il 12-2-2013, tolto il 15-16-17 e ricomparso con ulteriori allegati il 18.
Vi rinviamo, per una completa lettura delle intemerate e delle valutazioni dei Liquidatori, al sito del Fondo www.fondopensionicomit.it – comunicazioni.
La comunicazione del Fondo comporta alcune nostre doverose risposte in nome di una corretta informazione e della verità.
Parliamo prima dell’accusa rivoltaci circa la cosiddetta “campagna di protesta” e poi anche delle valutazioni sulla sentenza di Cassazione e sulla storia dell’intera vicenda dal Fondo ricostruita in maniera singolare e distorsiva, aiutati anche dalle considerazioni del nostro legale Prof. Antonio Pileggi.
Molte pagine (non saremo da meno) dai Liquidatori per sostenere tesi e valutazioni sbagliate e per non rispondere MAI compiutamente e adeguatamente alle domande dei loro soci, dei loro pensionati, dei loro creditori.
Un attacco sconsiderato e arrogante alla nostra Associazione, con il malcelato tentativo di evitare altrettanti strali contro l’UNP al fine invece evidentissimo e poco celato di dividerci ancora una volta, così come riuscirono nel 2005 inducendo l’allora segretario dell’UNP Carlo Cerri a modificare completamente e incredibilmente la sua posizione che aveva collegata alla nostra e sancita da tanto di firme -Masia per Anpecomit e Cerri per Unp- su apposito documento. Documento che assicurava dura opposizione, anche legale, contro il Fondo nell’ipotesi di prosecuzione sul terreno dello scioglimento forzato. Ma sappiamo come andarono le cose: in piena Assemblea azionisti Intesa 2005 l’A.D. Passera per rispondere alle affermazioni di Masia contro lo scioglimento del Fondo ebbe a dire, con sorpresa, che l’Unp gli aveva appena comunicato il pieno sostegno al loro progetto.
1) Dicono, i Liquidatori, che non ha senso rispondere singolarmente alle proteste dei Pensionati.
No! cari Signori non potete abusare troppo del vostro attuale e transitorio potere per zittire o silenziare. Avete l’obbligo e il dovere di rispondere a tutti, uno per uno. Siete lì, a quel posto non a gratis e ci siete, seppure forse in conflitto di interessi ( tre su tre dipendenti di Banca Intesa e due su tre anche creditori e soci del Fondo stesso) ) anche per rispondere ai vostri soci che vi interpellano. Non su questioni banali e di poco conto, ma su questioni importantissime, delicate e per loro vitali. Non potete affasciare le questioni e dare vaghe risposte collettive su alcuni argomenti scelti, ignorandone altri.
2) Si domandano, i Liquidatori, retoricamente, che la “liquidazione si trascina perché ci sono cause”
Per darsi immediatamente la seguente risposta: “ma le cause le fanno i pensionati (e altri soggetti in larga parte vicini all’Anpec) e il Fondo le subisce”. Risposta sbagliata e provocatoria. Avrebbero voluto, i Signori della Liquidazione, dare corso ad una ripartizione ingiusta, iniqua, scorretta e violativa dello Statuto del Fondo, del buon senso, e dei diritti di tanti, anzi di tutti, senza alcuna opposizione, senza alcun ricorso, senza alcun disturbo? Magari con tanti applausi? Troppo comodo. E’ normale che i soci “violati” reagiscano.
Prima considerazione :
un’operazione nata e condotta MALE e che rischia di finire PEGGIO.
Ricostruiamo bene alcuni passaggi. E’ importante.
Nessuno dimentichi di quando tanti pensionati, coordinati dall’Anpec (velocemente abbandonata da Cerri, malgrado la succitata firma), si opposero fermamente con inevitabili, ineludibili ricorsi vari, allo scioglimento del Fondo, ripeto con le maiuscole: SCIOGLIMENTO.
Scioglimento deciso dalle Fonti Istitutive (Banca e Sindacati, tranne la Fabi), nel dicembre del 2004 e poi assunto e portato avanti, con zelo e senza alcuna capacità di autonomia, dal Consiglio di Amministrazione (CDA) del Fondo ai primi del 2005.
Noi ci eravamo opposti perché consideravamo lo SCIOGLIMENTO immotivato (non c’erano gli effettivi presupposti negativi di bilancio che venivano sbandierati, anzi, di fatto, il Fondo godeva di ottima e abbondante salute, come pochi mesi dopo l’asta si incaricava di dimostrare, consentendo persino ulteriori successivi buoni margini per l’acquirente Beni Stabili), illegittimo (perché la legge su cui la Covip doveva vigilare prevedeva ben altro), non autorizzato dai soci (che per l’occasione non furono, come noto, neppure chiamati a dare il loro parere) e indegno (perché eliminare definitivamente una pensione integrativa e l’incorporato diritto alla reversibilità, per trasformarla in capitale, è stato pur sempre un gesto irreversibilmente ostile e altamente dannoso verso una categoria comunque largamente disagiata). Un’operazione di cui socialmente vergognarsi e di cui non si dovrebbe menar vanto alcuno.
Noi non siamo mai stati contrari invece allo smobilizzo di un patrimonio, indicato dalla stessa Covip come troppo immobilizzato.
La liquidità conseguente determinatasi in asta nell’aprile del 2006 ed incassata il13/7/2006 nella misura (eccedente i valori a bilancio) per oltre 525 milioni, da chiamare correttamente “plusvalenza” e non “rendimento da rivalutazione” come ha fatto il Fondo, e quella precedente per circa 214 milioni, già conseguita sulle vendite immobiliari verificatesi a partire dal 2000 e fino al 2004 avrebbe, pensiamo, consentito, nel pieno rispetto dello Statuto, sia il risarcimento di coloro che avevano pagato il prezzo (con la riforma del 99) indispensabile per salvare il Fondo da sicuro fallimento e sia la prosecuzione del Fondo consentendo l’erogazione di pensioni più adeguate.
E’ bene per i soci interrogarsi sul perché e su come le plusvalenze non siano state trattate e distribuite come tali e sul “particolare” e “penalizzante” sistema contabile utilizzato dal Fondo per non considerare “plusvalenze” gli incrementi di prezzo realizzati con la vendita degli immobili rispetto al loro valore di bilancio, sottraendole così alla disciplina dettata dall’ancora vigente art. 27. Principio che, lo ricordiamo, venne allora inserito nello Statuto e che prevedeva che le eventuali plusvalenze, che in futuro si fossero realizzate, sarebbero state destinate a risarcire , secondo un certa graduatoria, tutti quei i soci penalizzati o con la riduzione del loro zainetto, o con la riduzione della pensione per i pensionati 98/99, etc.. al fine di consentire il superamento della crisi del Fondo stesso.
Orbene, a partire dal 2000, i valori a bilancio dei cespiti, una volta stipulati i compromessi di vendita, venivano rivalutati secondo il prezzo del compromesso. In questo modo, attraverso successive cessioni di immobili, asta compresa, sarebbero state realizzate, secondo alcuni attenti lettori dei bilanci del Fondo, circa 740 milioni di “plusvalenze”. Che però, denominate rendimenti, sono state distribuite, in parte, e per il residuo si vorrebbero distribuire sempre secondo il criterio del rendimento e non secondo il legittimo diritto di tutti i soggetti da risarcire ad avere, pro quota, ricostruito lo zainetto e/o la pensione.
Il nostro ricorso contro lo SCIOGLIMENTO fu respinto ma solo per una mera questione formale e non sostanziale: avevamo, secondo il Giudice, sbagliato a chiedere l’annullamento di una delibera del CDA del Fondo relativa al fatto , che poi non siamo riusciti a verificare e dimostrare.
Ma noi, sia chiaro, sostenevamo la verità, e cioè che il CDA nel marzo 2005 si era, con tutta evidenza, adeguato alla superiore decisione delle Fonti del dicembre 2004, sciogliendo in quel momento il Fondo, con contestuale eliminazione delle pensioni dirette e di reversibilità. Il Giudice di 1° grado nel novembre 2006, non colse purtroppo questa solare evidenza e così pure il giudice d’appello il 15-9-2011 dove lasciammo “morire” questa vertenza, per noi superata nel frattempo dal tema ripartizione plusvalenze e Accordo Unp/Anpecomit.
Al Fondo invece bastò in quella circostanza giudiziaria del 2006 sostenere l’incredibile e l’impensabile, e cioè che non era vero che il Fondo era stato sciolto/liquidato nel 2004/2005 ma, udite, udite, che era stato liquidato/sciolto solo il 20 dicembre 2006 , quando con il decreto del Prefetto di Milano (Lombardi) veniva dichiarato “estinto il Fondo” con questa supersingolare motivazione: “per accertata impossibilità sopravvenuta dell’originario scopo”. Il prefetto accoglieva un’istanza dei Liquidatori in tal senso del mese precedente (tre dipendenti in servizio, ribadiamolo, di Intesa subentrati al CDA e nominati dal Presidente del Tribunale, senza peraltro indicare alcun rappresentante, all’interno del Collegio dei Liquidatori, dei circa 10000 Pensionati)
Se pensate, cari amici, che il caro estinto, che sin dal luglio 2006 aveva le casse piene di soldi, lo era di fatto (e anche di diritto) da circa due anni, e che quando lo hanno dichiarato tale l’hanno fatto “a babbo morto”, come suol dirsi in questi casi, vengono spontanee e lecite alcune domande.
E’ vero o non è vero che sin dai primi del 2005, addirittura con decorrenza retroattiva dal 2004, erano state eliminate le pensioni ed erogati acconti di liquidazione, e che questo significava SCIOGLIMENTO e non passatempo? Infatti fatta l’asta in aprile 2006, e incassati 1062 milioni di € per beni fino ad allora sotto-valutati in bilancio per circa la metà, si è proceduto facendo seguito agli anticipi di capitale versati in precedenza , a distribuire ad ottobre 2006 il valore attuale delle pensioni, salvo le plusvalenze citate di oltre 525 milioni. E’ vero o non è vero che la plusvalenza come sopra incassata post asta nel luglio 2006 e dai Liquidatori sempre chiamata ostinatamente rivalutazione-rendimento, è stata attribuita con effetto retroattivo al bilancio 2005 ed in parte distribuita come rendimento? Con una dubbia, vista l’ardita retrodatazione, applicazione contabile, seppure con il parere favorevole di Sindacati, Sindaci e Società di revisione? E’ vero o non è vero che anche il residuo lo si vuole distribuire con lo stesso criterio, come dimostrano i tre gradi di giudizio sostenuti dal Fondo per imporre il suo piano di riparto originario, da noi avversato e comunque per tre volte dichiarato nullo dalla giustizia?
Questa la verità storica e documentabile.
Signori Liquidatori, sullo scioglimento, realizzato nel 2004/2005 e poi ufficialmente dichiarato, il 20-12- 2006, ci sono tante ombre, poca chiarezza e comunque sia non c’è alcuna sentenza che ci condanni nella sostanza e/o che confermi quella che Voi sbandierate come “la bontà della messa in estinzione del Fondo” e /o che Vi autorizzi a scrivere come fate, riferendovi addirittura alla sentenza di Cassazione: “quanto al contenuto delle decisioni si deve accogliere con vera soddisfazione il definitivo riconoscimento delle scelte compiute dal Fondo”.
Quando mai la Cassazione tratta questo argomento! Pura fantasia!
Che ora il Fondo non vuole applicare.
Seconda considerazione:
chi ha lavorato per allungare i tempi di definizione della vicenda?
Dire che le varie cause da Noi suscitate e sostenute (non quella d’Appello e non quella di Cassazione che sono state invece volute dal Fondo, come il nostro legale sostiene più avanti) siano inutili, come viene asserito dal Fondo, significa non rispettare e deridere il sentimento di tanti pensionati che legittimamente e con trasparenza si oppongono, si lamentano, si indignano.
Perché sono i Pensionati che sentono vivo sulla loro carne il disagio e la sofferenza per una pratica che finalmente poteva chiudersi subito e in pace fra le varie categorie interessate resesi protagoniste, attraverso le due Associazioni, di un Accordo sofferto, generoso, extragiudiziario ed equilibrato. Accordo che si chiudeva con il preciso impegno da parte di tutti a fare tabula rasa dei ricorsi. Raro comportamento civico e di buona volontà in questo tribolatissmo Paese, dove persino le più banali controversie di condominio e di associazionismo si portano cavillosamente ad intasare ulteriormente intasati Tribunali.
Sostenere che poi il Fondo esce dalla Cassazione e dagli altri gradi di giudizio come “vittorioso” con “sentenze che risultano per più versi pregevoli e apprezzabili” etc.. ballando e cantando giulivi e contenti, è veramente azzardato. Come si fa a godere di un tre a zero andata e ritorno?
Si sostiene la Cassazione abbia indicato una strada che è obbligatorio seguire.
Abbiamo già scritto che ciò non è vero. La Corte non obbliga il Fondo a dismettere l’Accordo Unp/Anpecomit considerandolo carta straccia, e non esclude pertanto che possa essere invece correttamente e liberamente eseguito, da coraggiosi, autonomi e saggi Liquidatori.
Che la procedura fallimentare che però appare la scelta finale dei Liquidatori, ma che speriamo ancora evitabile, sia foriera di altri conflitti e altre rivendicazioni lo abbiamo già detto e scritto ampiamente.
Lo ribadiamo, la via concorsuale sarà purtroppo e non lo vorremmo, accidentata e molto conflittuale.
Si scateneranno gli egoismi, tutti chiederanno il 100% di quanto pensano di avere diritto, compresi probabilmente gli attivi ai quali i loro Sindacati dovranno spiegare a quel punto la questione “plusvalenze/rivalutazioni” a partire dal 2000 in poi.
Tutti contro tutti, compresi quelli che oggi e domani, all’apertura della procedura fallimentare, non sono e non saranno in grado di conoscere nè la possibilità di inserirsi nell’elenco dei creditori, nè in grado di conteggiare la cifra da iscrivere a loro credito.
Questa difficoltà/impossibilità, riflettiamoci, varrà per alcune migliaia di colleghi IGNARI.
Per loro si farà valere la regola che la legge non ammette ignoranza? O non sarebbe bene che il Fondo informasse tutti fornendo i relativi conteggi di quanto a ciascuno detratto dal rispettivo zainetto a fine 99?
Tutti contro tutti, ci pensino i Liquidatori, la Banca, i Sindacati, le Istituzioni: pensionati ante 98 contro i 98/99, contro gli zainettati, i ceduti, gli anticipati. E viceversa. Alcuni beneficiati dalle scelte del Fondo, altri esclusi. Gli esclusi reagiranno. Non avranno altra scelta. E non si faranno certamente intimidire.
Terza considerazione:
chi deve pagare la cosidetta “multa” fiscale per la supposta elusione, come contestata dall’Agenzia delle Entrate di Rho e in Cassazione dall’Avvocatura di Stato, e verificatasi in sede di cessione alla Beni Stabili del patrimonio attraverso successive incorporazioni della meteora Immobiliare Fortezza?
Bisogna rispondere ora a questa precisa domanda fatta anche da centinaia di pensionati singoli o in gruppo: perché e sulla base di cosa il Fondo sostiene che deve pagare Beni Stabili e Beni Stabili sostiene l’esatto contrario?
Vi pare domandina da poco conto? Vale oltre 116 milioni di €!
E voi rispondete invece che se ne parlerà quando la Cassazione Tributaria emetterà la sentenza, attribuendovi tra l’altro il merito, che noi riteniamo nostro, di aver fatto emergere “patrimonio in eccedenza” (suvvia, chiamatele, se volete, plusvalenze) sulla spartizione del quale oggi gli ex Colleghi Comit litigano.
Litigano ? Ma che piacevoli e carine considerazione sui “Colleghi Comit”!
I sacrosanti diritti, frutto di una vita di lavoro, spacciati per litigio! Complimenti.
Mi ritorna in mente il concetto dell’illustre Avv. Ichino, pronunciato a Roma davanti al giudice che rivolgendosi ai Colleghi presenti, difesi dall’Avv. Centofanti, su una causa analoga ma non Anpecomit, li qualificò alla stregua di famelici richiedenti fette non dovute di torta altrui.
Quarta considerazione:
sostiene il Fondo: “l’accordo Unp/Anpecomit non ha mai previsto un’applicazione stragiudiziale, che nessuno saprebbe come rendere giuridicamente vincolante”.
Su questo punto lasciamo la parola al Prof, Pileggi limitandoci ad indicare che nella diffida Unp/Anpecomit al Fondo dell’ottobre 2012 ad applicare l’Accordo, veniva esaminato questo aspetto e date le opportune risposte
Noi siamo convinti che il Fondo sia parte determinante e sostanziale dell’Accordo e che sbagli a sottrarvisi.
Non serve a nulla richiamare pezzi dell’Accordo e alcuni nostri comunicati, distorcendone il significato .
Dovreste, Signori della liquidazione richiamarVi invece, con atteggiamento responsabile e solidale allo spirito, al cuore (quello Noi e Unp ci abbiamo messo) dell’Accordo che nasce quale soluzione transattiva ed extragiudiziale, da noi Anpecomit proposta sin dal 2008, da Voi voluta e sollecitata a partire dall’ ottobre 2009 e quasi “imposta” ai colleghi dell’UNP, in un primo momento contrari, ma poi, in data 12-7-2010 sostenitori convinti con le firme di Cobianchi, Dragone e Cerri.
Accordo a Vostra iniziativa e scelta, “referendato”.
Auspicavate un dissenso limitato. Come lo definite un dissenso di solo e appena il 5%? Avete paura del 5% e non delle reazione prevedibili d’ora in poi in numero molto elevato, anche e supposto che vi riesca la divisiva strizzatina d’occhio verso i pensionati ante 98.
Rispondeteci su questo punto: perché ci avete fatto fare un Accordo extra giudiziario se poi lo avete voluto ostinatamente “giudiziarizzare”, perfino in Cassazione? Se si fa un accordo lo scopo è quello di dare una soluzione ad una controversia al di fuori dei Tribunali. O no?
Non siamo noi, pertanto, ad aver cambiato idea. Ma VOI!
Noi, con coerenza e trasparenza, volevamo e vogliamo ancora l’Accordo (ed auspichiamo che tutti coloro che lo hanno voluto e firmato lo sostengano in tutti i modi). Noi vogliamo cioè l’applicazione di quel “librone” che ci avete distribuito prima dell’Appello e che contiene tutti, ma proprio tutti, i beneficiari, attivi e pensionati, soci attuali e non più soci del Fondo, con le cifre finali da attribuire (alcune per la verità errate e da rivedere), calcolate al centesimo.
A proposito mancano gli indirizzi, perbacco! Come avvisare allora gli IGNARI, speriamo non considerati “ ignoranti” per la legge fallimentare? Si badi non è problema da poco!
Voi ora ci dite che darete subito corso alla procedura fallimentare per distribuire da capo le plusvalenze del 2006 (pardon i rendimenti del 2005!) comprese evidentemente le cifre già attribuite in acconto plusvalenze, ripardon in acconto rendimenti.
Ma… non ci dite quali sono le cifre per voi creditrici e per quali categorie voi presenterete i vostri debiti. Anche se è facile capire chi saranno gli eslcusi… dalla vostra presentazione.
Quinta considerazione:
a proposito dei Sindacati
Sostiene il Fondo, solo ora e non prima, che i Sindacati vanno coinvolti a favore dell’Accordo deducendo invece negatività dalla seguente frase inserita dalle OO.SS. a conclusione della relazione dell’incontro con i Liquidatori del 10.2.2012 : “la procedura ripartirà probabilmente con la costituzione dello stato dell’attivo e del passivo, con il rischio che alla nuova costituzione dello stato liquidatorio si possano registrare nuovi contenziosi (specie se dovessero variare i criteri).
Ma questa è proprio l’ipotesi che noi contestiamo e che non vogliamo e che solo l’applicazione dell’Accordo impedirebbe, unitamente ad altri potenziali conflitti.
Noi osserviamo infatti che non era e non è il caso di mettere a dura prova la manifesta neutralità dei Sindacati rispetto all’Accordo Unp/Anpecomit che in pratica non sottrae 1 € di quanto assicurato agli attivi.
Bastava e basta applicare l’Accordo proprio per evitare quell’ipotesi inquietante del tutti contro tutti, evocata dalla frase sindacale, e che intenzionalmente il Fondo ora brandisce contro di noi, quasi addebitandoci la responsabilità di non aver convinto le OO.SS a dare aperto sostegno all’Accordo derivandone e scrivendo la seguente errata convinzione: “non è quindi difficile capire che un problema esiste con le OO.SS. sull’applicazione dell’Accordo e che Unp e Anpec NE SONO CONSAPEVOLI”.
Anche questo strumentale e poco sublimale messaggio del Fondo ai Pensionati è decisamente fuorviante.
Ribaltiamo la cosa: cosa hanno fatto invece i Liquidatori per convincere una delle loro fonti Istitutive, i Sindacati, ad appoggiare l’Accordo in alternativa alla neutralità? Niente di niente . E cosa invece avrebbero potuto fare con ben altro spirito propositivo e solidale? Molto e di Più.
A noi sembra sinceramente e non riusciamo a capirne le motivazioni che i signori Liquidatori non si rendano conto che è proprio la lungaggine giudiziaria e la mancata applicazione dell’Accordo a mettere a rischio gli equilibri ed a suscitare le preoccupazioni ventilate dai Sindacati.
Noi continuiamo a ritenere positiva la neutralità sindacale anche se pure noi avremmo desiderato un’aperta condivisione da parte loro del percorso extragiudiziario Unp/Anpec, l’unico capace di risolvere in bonis la vicenda. In questo senso come Unp e Anpec li abbiamo interpellati nei mesi scorsi nelle circostanze in cui è stato possibile.
Sesta ed ultima considerazione:
Scrive il Fondo: le lettere presenti sul sito Anpecomit hanno contenuti penalmente rilevanti. Anpec e Unp a buon conto ne “scaricano” la responsabilità su chi le scrive (dopo averli a ciò incitati).
Intimidazioni fuori luogo, prive di buon senso e senza alcun fondamento.
Noi e Unp ci siamo limitati, dopo l’esito di Cassazione, ad invitare (e lo continuiamo a fare) i pensionati ed aventi diritto a far sentire, in maniera educata e civile, la propria voce in sostegno delle loro sacrosante rivendicazioni. Loro Vi hanno scritto, Vi stanno scrivendo e non solo a Voi, senza peraltro ricorrere MAI ad offese o ingiurie o altro del genere che se pervenute in tal guisa noi non avremmo certamente pubblicato.
E Voi ora, anziché rispondere alle loro sacrosante proteste, li diffidate!
Diffidate i Vostri pensionati, li vorreste zittire e pensate che noi li abbiamo scaricati?
Vi sbagliate, ancora una volta. Clamorosamente.
Se li attaccherete, coprendovi di ridicolo, noi e tutti i nostri soci li proteggeremo con tutte le nostre forze.
In conclusione
Noi ribadiamo con determinazione che se la vostra decisione, per noi inaccettabile, sarà quella di procedere con il percorso giudiziario fallimentare, ci riserviamo di reagire opportunamente come Associazione, unitamente, auspichiamo, ancora con l’Unp, il cui Segretario responsabile, Rinaldo Cobianchi, esempio non comune di lealtà e coerenza viene, purtroppo, per questo motivo attaccato da “fuoco amico” e non solo.
Seguiremo con attenzione le iniziative che i soci singolarmente o per gruppi vorranno intraprendere a tutela dei loro diritti.
Continueremo a chiederVi di incontrarci, come abbiamo fatto sinora, anche se Voi continuate a dire che è inutile e/o prematuro. Così come ha fatto purtroppo anche la Covip. E sottolineiamo questo punto per la buona pace di chi, in buona o mala fede, continua a sostenere che noi siamo dei guerrafondai e che noi ci sottraiamo ai tavoli. Rivendichiamo la primogenitura dell’Accordo.
Se Voi seguirete la via giudiziaria, attribuendone la volontà alla Corte (scrivete: “daremo attuazione alle sentenze”...) ignorando e “cartastracciando” l'Accordo UNP/Anpecomit, non ci resterà che far emergere, attraverso i nostri soci e con tutti i mezzi legittimamente possibili, le eventuali responsabilità di Amministratori, Fonti istitutive e Istituzioni in merito a questa lunga, dolorosa e conflittuale vicenda.
A meno che Voi, signori Liquidatori, non comunichiate, in tempi brevi ed a tutta la platea degli interessati, l’intenzione di rispettare l’Accordo Unp/Anpecomit, anche utilizzando se proprio indispensabile per la formazione dello stato passivo i principi dell’ACCORDO e le relative cifre delle singole posizioni già ufficializzate in occasione del “referendum”.
Il Librone per l’appunto da portare sottoscritto con Unp e Anpecomit al giudice fallimentare.
Cari soci, ricorrenti e amici prepariamoci dunque ad una eventuale lotta dura e determinata: sono in ballo i vostri diritti, il sacrificio del vostro lavoro, le vostre legittime e sacrosante aspettative.
Dovete farVi sentire, specie nella “silente e apparentemente indifferente” piazza di Milano, ognuno si assuma le proprie responsabilità e con coraggio ESIGA quanto gli è dovuto e non si demoralizzi…perché ogni tanto anche Golia soccombe!
Un abbraccio a tutti, ci scusiamo per la lunghezza ma per giudicare occorre documentare e documentarsi.
E ricordatevi di rinnovare l’adesione 2013 (e chi ancora non l’avesse fatto la quota 2012 entro il 10/3/2013) bonificando € 20 (invariato) sul c/c dell’Associazione.
Antonio Maria Masia
Presidente Anpecomit
Roma 26-2-2013
A.N.P.E.C. ASSOCIAZIONE NAZIONALE FRA PENSIONATI ED ESODATI DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA
CARIPARMA AG. 38 ROMA
DIPENDENZA 458
C/C 354186/86 ABI 06230 CAB 05072
IBAN IT68S 06230 05072 000035418686
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Ecco le valutazioni del nostro legale Prof. Avv. Antonio Pileggi.
Intendo dare alcune risposte - di taglio giuridico– ad alcune delle sorprendenti affermazioni apparse nel Comunicato del 18.2.2013 del Fondo Pensioni Comit (Risposta alla campagna promossa sul Sito ANPECOMIT) apparso sul sito del Fondo medesimo e ai commenti, apparentemente “neutri”, del Fondo alle sentenze. In sintesi, come vedremo, il Fondo ha perso un’ottantina di cause di fila, in tre gradi di giudizio, e canta vittoria, anziché chiedere scusa per aver perso tempo e denaro.
1. Prima affermazione: La liquidazione si trascina perché ci sono le cause? Ma le cause le fanno i pensionati (e altri soggetti in larga parte vicini all’ANPEC) e il fondo le subisce.
Asserisce il Fondo di essere stato costretto ad andare in Cassazione per colpa di 42 ricorrenti “che hanno cercato di invalidare l’intera procedura ripartitoria-concorsuale per consentire cause sparse in tutta Italia e proponibili in ogni tempo (allungando i tempi di liquidazione potenzialmente all’infinito). Il Fondo ha sventato questo pericolo mortale per la liquidazione, grazie alle decisioni della Corte di Cassazione, giunte anche in tempi brevissimi in virtù dell’istanza di trattazione prioritaria proposta dai suoi legali (viceversa la velocizzazione della causa è stata osteggiata dall’ANPEC)” .
Niente di più falso. Di più consapevolmente falso.
E’ stato il Fondo a notificare in data 29 novembre 2011 il primo ricorso in Cassazione, al gruppo (in origine di 92 persone, gruppo non coordinato nè sostenuto dall’Anpec) che, rappresentato dall’Avv. Centofanti di Perugia, aveva chiesto di invalidare l’intera procedura “ripartitoria-concorsuale”, e ciò dopo che esso Fondo aveva notificato, in data 29 settembre 2011, la sentenza n. 2232/11 della Corte d’Appello di Milano, pronunciata nei confronti di quel gruppo, così da provocare, entro il termine breve di sessanta giorni, la presentazione del ricorso in Cassazione da parte di quel gruppo (poi ridottosi a 42 ricorrenti).
Il ricorso del Fondo è stato notificato con urgenza all’avvocato domiciliatario di quel gruppo il 29 novembre 2011 (ultimo giorno utile) entro il termine breve di sessanta giorni.
Infatti, la notifica della sentenza fa scattare anche per il notificante (nel caso il Fondo che ha notificato in data 29 settembre 2011), e non solo per il notificato, il termine breve (di sessanta giorni) per proporre ricorso per Cassazione (“In tema di decorrenza del termine breve per l'impugnazione, il comma primo dell'art. 326 cod.proc.civ. va interpretato nel senso che, pur in mancanza di un'espressa previsione al riguardo i termini di cui all'art. 325 cod.proc.civ. decorrono dalla notificazione della sentenza non solo per il soggetto cui la notificazione è diretta, ma anche per il notificante, attesa la comunanza ad entrambe le parti del termine stesso …. non potendo dubitarsi che la parte che provvede alla notifica della sentenza non solo abbia piena conoscenza legale della stessa, ma soprattutto subisca anche egli stesso gli effetti di quell'attività sollecitatoria ed acceleratoria che egli impone all'altra parte”: così Cass. 16 maggio 2006, n. 11433).
Dunque nel momento in cui notificava la sentenza in data 29 settembre il Fondo ben sapeva di aver fatto scattare nei propri confronti il termine breve per proporre quel ricorso per Cassazione che infatti ha proposto. Ha dunque proposto ricorso per Cassazione (per far accertare la validità dell’originario piano di riparto) senza sapere affatto se il gruppo cui aveva notificato la sentenza avrebbe, oppure no, fatto ricorso in Cassazione, ed indipendentemente da questo ricorso (notificato sempre gli ultimi giorni di novembre).
Dunque il Fondo ha proposto ricorso in Cassazione non perché “costretto”, ma perché ha deciso di farlo, e l’ha fatto, autonomamente, indipendentemente dal ricorso in Cassazione dei 42 (tra cui non figura alcun socio fondatore dell’ANPEC), e senza nemmeno sapere se detto ricorso fosse stato notificato oppure no!
Ma non basta!
Che cosa ha chiesto il Fondo nel proprio ricorso in Cassazione notificato il 29 novembre 2011?
La sentenza n. 2232/11 della Corte d’Appello di Milano era in parte diversa dalle altre, perché aveva deciso non solo sul reclamo principale del Fondo (diretto a far accertare che il piano di riparto originario era valido), rigettandolo, ma anche sul reclamo incidentale presentato da quel gruppo originario di 92 pensionati (diretto a far accertare che “l’intera procedura ripartitoria-concorsuale era invalida”), rigettando anche questo.
Il Fondo, una volta notificata la sentenza ha costretto, con quell’attività “acceleratoria e sollecitatoria” il gruppo dei 92 (poi ridottisi a 42) a fare ricorso in Cassazione per non far passare in giudicato la parte di sentenza che rigettava il reclamo incidentale presentato da quel gruppo. Ma se avesse voluto, ben avrebbe potuto non notificare, entro il termine che esso Fondo aveva fatto scattare, il proprio ricorso in cassazione contro la parte della sentenza sull’invalidità del piano di riparto! Avrebbe infatti potuto attendere la (eventuale) notifica del ricorso in Cassazione del gruppo di ex dipendenti e solo allora avrebbe potuto notificare (nei successivi 40 giorni) il controricorso con il ricorso incidentale avverso la parte di sentenza sull’invalidità del piano di riparto.
Ma per contrastare il ricorso di quel gruppo di dipendenti intenzionati a far saltare l’intera procedura liquidatoria era sufficiente che il Fondo notificasse un controricorso per difendere la procedura liquidatoria!
Ed invece il Fondo non ha affatto voluto attendere che fosse notificato il ricorso di quel gruppo di dipendenti (contrastandolo con un semplice controricorso) perché voleva trascinare tutti in Cassazione indipendentemente da ciò che avrebbe fatto, o non fatto, il gruppo dei 92! Ecco perché s’è affrettato a notificare, entro il termine dei sessanta giorni, un proprio ricorso principale il 29 novembre 2011 contro la parte di sentenza sull’invalidità del piano di riparto!
Ma non basta ancora.
La sentenza n. 2232/11 è solo una delle 25 sentenze poi impugnate dal Fondo, l’unica, a quanto costa, ), dove c’era una soccombenza per i pensionati, che, come detto, avevano presentato reclamo incidentale per fare saltare l’intera procedura liquidatoria e non solo il piano di riparto.
Il Fondo allora – dopo avere inopportunamente “accelerato e sollecitato” (per usare le parole della Suprema Corte) – il ricorso in Cassazione di quel gruppo di ex-dipendenti contro quella sentenza, si sarebbe potuto limitare a presentare controricorso in quel solo giudizio (da esso Fondo sollecitato), per sventare quello che definisce “pericolo mortale per la liquidazione”.
Ed invece cosa ha fatto il Fondo? Ha trascinato in giudizio tutti, senza alcuna necessità, notificando ben altri 25 ricorsi in Cassazione e costringendo migliaia di pensionati ed altre categorie a difendersi in Cassazione, solo per fare accertare la validità dell’originario piano di riparto, nonostante in quei giudizi non vi fosse alcun “pericolo mortale per la liquidazione” perché, a parte le due o tre eccezioni ricordate, nessun altro gruppo aveva chiesto, con reclamo incidentale in appello, che fosse fatta saltare l’intera procedura!
Dunque sia il ricorso contro la sentenza n. 2232/11 sia soprattutto gli altri 25 ricorsi in Cassazione, sono stati notificati dal Fondo al solo scopo di ottenere l’accertamento della originaria validità del piano di riparto, ed assolutamente non per scongiurare il rischio mortale che “saltasse” l’intera procedura liquidatoria!
Ed il Fondo ha costretto migliaia di pensionati (ed altri) a difendersi in Cassazione contro la pretesa a far accertare la validità dell’originario piano di riparto, nonostante esso Fondo si fosse impegnato a considerare quel piano di riparto superato dall’Accordo ANPEC/UNP!
Ma non basta ancora!
Il Fondo, nel trascinare, senza esservi affatto costretto, e allungando a dismisura i tempi della liquidazione, migliaia di persone in Cassazione ha deliberatamente violato gli impegni solennemente assunti, ad abbandonare il piano di riparto originario ed a non insistere nella “linea processuale sinora seguita” (nella linea, cioè, di far dichiarare legittimo l’originario piano di riparto), qualora si fossero manifestati dissensi in misura limitata in ordine al nuovo piano di riparto in attuazione dell’Accordo ANPEC/UNP.
Accordo di cui il Fondo era, ed è, certamente parte (e, come vedremo tra breve, non è affatto vero che le sentenze della Cassazione si siano sognate di dire che il Fondo non fosse parte dell’Accordo in questione).
Infatti, nelle lettere del gennaio 2011 aventi ad oggetto “verifica della misura del consenso della collettività degli interessati che deriverebbero al Piano di Riparto in virtù dell’accordo fra UNP e Anpec del 12.7.2010”, inviate all’incirca a n. 10.000 interessati, il Fondo si vincolava espressamente ed inequivocabilmente a saldare il proprio consenso, all’Accordo tra UNP ed ANPEC da esso Fondo promosso, al consenso espresso dagli interessati, alla sola condizione che “l’accordo stesso raccogliesse dissensi in misura limitata”, in tal modo “aderendo al consenso implicitamente manifestato dalla massa dei Partecipanti ed ex Partecipanti o potenziali aventi diritto”.
Per l’ipotesi in cui l’Accordo promosso da esso Fondo avesse raggiunto dissensi in misura limitata esso Fondo, aderendo all’Accordo e saldando il proprio consenso a quello espresso dagli interessati, avrebbe “cercato di darvi attuazione, innanzitutto, in sede processuale nelle modalità ritenute più opportune già a partire dall’udienza in Corte d’Appello del 10 marzo 2011” (udienza relativa al giudizio promosso dal Fondo avverso l’annullamento, per vizi procedurali, dell’originario Piano di Riparto”). Viceversa, solo ove si fosse manifestato “un livello di dissenso all’accordo che faccia ritenere improbabile che questo possa portare ad una cessazione del contenzioso” o ad una sua “drastica riduzione” il Fondo avrebbe proseguito “da subito nella linea processuale sinora tenuta” e, dunque, avrebbe continuato a chiedere l’attuazione del Piano di Riparto originario. Viceversa, in caso di dissenso in misura limitata esso Fondo, aderendo all’Accordo, avrebbe “da subito” abbandonato “la linea processuale sinora tenuta”.
Ed invece, nonostante la misura irrisoria dei dissensi il Fondo ha insistito nella linea processuale sinora seguita, venendo meno clamorosamente agli impegni assunti e trascinando migliaia di persone in Cassazione, senza esservi affatto costretta, ma per una propria autonoma decisione!
Il Fondo dimostra male fede quando riporta il contenuto delle suddette lettere del gennaio 2011 con una incredibile omissione, coperta da provvidenziali puntini sospensivi: la frase censurata (della quale in tal modo il Fondo finisce per dimostrare l’estrema importanza) è la seguente: “il Fondo Pensioni aderendo al consenso implicitamente manifestato dalla massa dei Partecipanti ed ex Partecipanti o potenziali aventi diritto cercherà di darvi attuazione in sede processuale nelle modalità ritenute più opportune”.
L’altra omissione riguarda il pezzo successivo nel quale il Fondo in caso di dissenso in misura limitata, aderendo all’Accordo, non avrebbe seguito “la linea processuale sinora tenuta, ma “da subito” l’avrebbe abbandonata.
2° Affermazione: Le cause in Cassazione non sarebbero state inutili, ma avrebbero accertato la correttezza del percorso liquidatorio e tracciato in modo definitivo la strada da percorrere.
Le sentenze sarebbero “pregevoli e apprezzate” (“apprezzate” da chi? Da chi ha perso per la terza volta? E allora, chi ha perso, perché ha fatto un ricorso in Cassazione se apprezza e reputa pregevoli le sentenze che gli hanno dato torto marcio? Chi perde dovrebbe trovarle criticabili: leggendole il Fondo s’è convinto forse di avere torto?).
Innanzitutto, prosegue il Fondo, per la “eccezionale celerità”. La celerità sarebbe stata ben maggiore, nel senso che non si sarebbe perso nemmeno un minuto di tempo, se il Fondo non avesse assunto l’iniziativa, cui, come detto, non l’ha costretta nessuno, di presentare ben 25 ricorsi in Cassazione, costringendo migliaia di pensionati a spendere tempo e denaro per costituirsi in giudizio. Sarebbe stato sufficiente lasciare passare in giudicato le sentenza della Corte d’Appello di Milano e, se mai, senza accelerare, sollecitare e provocare, attraverso la notifica della sentenza n. 2232/11, il ricorso in Cassazione del gruppo di dipendenti che aveva contestato in radice la procedura liquidatoria, limitarsi (qualora fosse stato presentato ricorso in Cassazione nel termine lungo di un anno) proporre controricorso in quel solo giudizio.
Infatti, salva un’insignificante correzione della motivazione le sentenze della Cassazione sono identiche a quelle di appello.
Il Fondo avrebbe dovuto dunque non proporre ben 25 ricorsi in Cassazione perché si era espressamente e formalmente impegnato, in diecimila lettere del gennaio 2011, ad abbandonare “la linea processuale sinora tenuta”, in caso di dissenso limitato .
Il tempo intercorso dalla pubblicazione delle sentenze della Corte d’Appello alle pubblicazione delle sentenze di Cassazione, è tutto tempo perso.
Il Fondo era il solo soggetto soccombente, l’unico ad avere in astratto interesse ad impugnare tutte le sentenze
E’ frutto perlopiù di un travisamento del contenuto delle 25 sentenze che hanno dato torto marcio al Fondo per la terza volta (sommando tutte le sentenze di tutti i gradi di giudizio il Fondo è risultato soccombente complessivamente un’ottantina di volte!), quanto il Fondo “accoglie con vera soddisfazione” (contento lui!) e cioè che nelle sentenze in questione sarebbe contenuto “il definitivo riconoscimento delle scelte compiute dal Fondo circa:
la bontà della messa in estinzione dell’Ente,
la regolarità dell’informazione fin qui data dai liquidatori (oltre che al Presidente del Tribunale di Milano quale autorità vigilante) anche alla COVIP,
la infondatezza dell’ipotizzato stato di insolvenza dell’Ente,
il riconoscimento delle gravi difficoltà interpretative fin qui incontrate in una situazione priva di precise norme e precedenti,
e la legittimità di procedere in via concorsuale/ripartitora in applicazione analogica dell’art. 16 disp.att. cod. civ.”
Le sentenze della Suprema Corte non si sono affatto occupate dei suddetti punti o lo hanno fatto incidentalmente: l’espediente cui ricorre il Fondo consiste nell’estrapolare brani della sentenza della Suprema Corte che perlopiù non attengono all’unica parte della sentenza avente contenuto decisorio e cioè a quella relativa all’illustrazione dei motivi della decisione, ma a quella, meramente descrittiva, e del tutto priva di contenuto decisorio, nella quale la Corte descrive lo svolgimento del processo, riportando le posizioni delle parti, e avendo cura di precisare che si tratta di versione di parte (“come asserito dal Fondo ricorrente”).
In realtà la Suprema Corte ha affrontato un’unica questione: se fosse valido, oppure no, il piano di riparto originario: ed a tale questione ha dato risposta negativa (come già avevano dato risposta negativa i precedenti di merito), rigettando i ricorsi del Fondo.
3° Affermazione: l’Accordo UNP/ANPEC sarebbe inattuabile, il Fondo non ne sarebbe parte e questo sarebbe stato accertato dalle sentenze della Cassazione!
Travisando il contenuto delle sentenze della Suprema Corte, che contengono due solo statuizioni (una di rigetto dei ricorsi principali del Fondo, l’altra di rigetto dei ricorsi incidentali di quanti, assistiti dai tre legali sfiduciati dalla stragrande maggioranza dei resistenti, non vi hanno rinunciato), il Fondo sembra voler lasciar credere che non essendo stata presa in considerazione l’istanza dello scrivente legale, di cui alla memoria illustrativa, avente ad oggetto l’eventuale declaratoria di cessazione della materia del contendere, a seguito dell’accordo UNP/ANPEC, la Cassazione avrebbe accertato che il Fondo non è parte dell’accordo.
Falso.
Nelle memorie difensive scrivevamo quanto segue a proposito dell’Accordo UNP/ANPEC: “Ribadiamo che, trattandosi di un fatto sopravvenuto, la vincolatività dell’Accordo tra le parti coinvolte e la sua concreta attuazione potranno e dovranno essere accertate e richieste da chiunque ne sia legittimato e ne abbia interesse nelle opportune sedi giudiziali a prescindere dall’accertamento della originaria validità o meno del precedente Piano di Riparto del patrimonio del Fondo che costituisce l’oggetto esclusivo del presente giudizio, in relazione al quale, peraltro, codesta Ecc.ma Corte potrà valutare, proprio in ragione del nuovo Piano di Riparto risultante dal più volte richiamato Accordo, condiviso dalle parti in causa, l’intervenuta cessazione della materia del contendere”.
Ora, incredibilmente, nel proprio ricorso, nelle memorie illustrative, e in sede di discussione, il Fondo – dimenticando (e cancellando con un omissis) l’impegno direttamente assunto (“il Fondo aderendo al consenso implicitamente manifestato dalla massa dei Partecipanti ed ex Partecipanti o potenziali aventi diritto”) - ha negato di essere parte dell’Accordo, ed ha insistito per l’accertamento della validità dell’originario piano di riparto, confermando così di volersi sottrarre all’attuazione dell’Accordo UNP/ANPEC.
La Cassazione, giustamente, stante la posizione del Fondo, non ha potuto prendere atto della cessazione della materia del contendere (che presuppone che ci sia il consenso di tutti su una certa soluzione della lite), con riferimento al piano di riparto originario, semplicemente perché il Fondo ha insistito perché ne fosse accertata la legittimità, e non ha minimamente preso in considerazione l’accordo UNP/ANPEC perché del tutto estraneo al giudizio (come aveva osservato la scrivente difesa, rinunciando ai ricorsi incidentali).
Contrariamente a quanto il Fondo vorrebbe lasciar credere, è rimasta impregiudicata la questione se esso Fondo fosse parte dell’Accordo UNP/ANPEC, come noi riteniamo con assoluta certezza.
Piuttosto, notiamo una certa insistenza del Fondo nel chiamarsi fuori dall’Accordo, nel non perdere occasione per asserire di non sentirsene affatto vincolato, nel porre ancora oggi condizioni impossibili alla Sua attuazione, quale quella di pretendere (e perché mai!) che qualche autorità ne dichiari l’efficacia erga omnes persino nei confronti dei dissenzienti o dei soggetti non coinvolti. Ricordiamo che già nei ricorsi in Cassazione il Fondo avesse posto come condizione (impossibile) perché esso Fondo vi desse attuazione, che la Corte ne dichiarasse l’efficacia erga omnes.
La Corte – condividendo la posizione espressa da quanti sono stati assistiti dallo scrivente (gli unici interamente vittoriosi) - ha ritenuto per fortuna l’Accordo UNP/ANPEC estraneo alla causa ed ha evitato dunque anche di dire quanto il Fondo avrebbe voluto dicesse per sottrarvisi: e cioè che l’Accordo non potesse avere efficacia anche nei confronti dei dissenzienti e di chi fosse ad esso estraneo o di esso ignaro!
Ma il Fondo imperterrito non demorde, e lascia intendere che siccome nessuna autorità ha dichiarato l’accordo efficace erga omnes esso Fondo non l’attuerà, non perdendo occasione di evidenziare asserite insormontabili difficoltà tecniche all’attuazione dell’Accordo.
Il Fondo deve dire chiaro e tondo: intende attuare l’Accordo si o no? Intende ripartire secondo gli importi stabiliti per ciascuno sulla base dell’Accordo si o no? Lo dica subito.
Se c’è la volontà “politica” si trova certamente anche la soluzione tecnica, già del resto prospettata dallo scrivente ai legali del Fondo, cui è stato chiesto un prossimo incontro.
(Antonio Pileggi)
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