Ricordando Raffaele Mattioli
Il guru e lo gnomo - Terzani va in banca
Che ci faceva ogni sera un maoista
nell'ufficio di Raffaele Mattioli, dove si decidevano i destini della
finanza italiana?
l guru e il banchiere. La grisaglia e il sari. Il maestro della spiritualità
orientale e uno dei più spregiudicati esponenti del capitalismo occidentale.
La sinistra utopista e la destra addirittura «degli intrighi».
Che ci fa Tiziano Terzani, di sera, nella penombra di un ufficio riservato
ai piani alti della più importante banca d'affari italiana, a parlare con il
maestro di Enrico Cuccia, il potentissimo gran sacerdote della finanza
laica, il grand commis della più esclusiva oligarchia liberale della
Penisola, insomma: con Raffaele Mattioli? Nel dibattito assai estivo sul «terzanismo»
e sui molti fans conquistati da TT - il giornalista toscano di Der Spiegel e
dell'Espresso, passato nel suo itinerario essenzialmente asiatico dagli
articoli a favore dei Vietcong alla propaganda della nonviolenza - questo
elemento ancora non è stato sottolineato.
Eppure Terzani stesso ne parla senza remore, anzi quasi divertito, nella
lunga intervista autobiografica rilasciata al figlio
Folco
prima di morire nel luglio 2004 e recentemente uscita in libreria per
Longanesi (pp. 466, euro 18,60) sotto il titolo La fine è il mio inizio
che sembra una sentenza zen di schietta provenienza indù e invece è una
colta citazione del suddito di Sua Maestà coloniale e britannica T. S. Eliot.
Dunque, all'inizio degli anni Settanta il giovane Terzani è; appena
rientrato in Italia da un soggiorno di studio negli Stati Uniti, dove ha
imparato il cinese e il giornalismo a spese dei «capitalisti». Attraverso il
collega Corrado Stajano, viene presentato a «quell'uomo meraviglioso...
coltissimo, intelligente, coraggioso, che si chiamava Raffaele Mattioli» ed
era all'epoca presidente della Banca Commerciale Italiana, transitato
indenne (e anzi con crescente potere) in tale funzione dal regime fascista
-durante il quale aiutò vari antifascisti - ai governi democristiani del
dopoguerra - quando cominciò a corteggiare intellettuali di sinistra e
cattocomunisti. Mattioli dice di voler portare la sua banca in Oriente e
dunque gli interessa il giovane giornalista che sta per partire come
corrispondente per l'Asia: «E qui cominciò - scrive Terzani - una stupenda,
segreta, romantica serie di incontri con quel vecchio».
Ogni sera TT usciva dalla redazione del suo giornale, entrava «da una porta
secondaria» nella banca e incontrava Mattioli «in una stanza tappezzata di
libri». «Questo bellissimo rapporto con quel vecchio andò avanti per mesi» e
alla fine il colto banchiere (era molto amico, tra gli altri, di Bacchelli,
Manzù, Paolo Grassi, Malaparte, Montale...) propose al cronista: «Scrivimi
una volta al mese una lettera in cui mi dici cosa pensi della situazione
politica dei vari Paesi del Sud-est asiatico, e io al mese ti pago mille
dollari»; contratto suggellato all'istante grazie al cognato di Mattioli,
che era anche l'amministratore delegato della Comit e che - apparso
misteriosamente, secondo uno scenario davvero da «gnomi» della finanza, da
«una porticina nella libreria» - ricevette l'ordine: «Fagli un contratto in
modo che lui ogni mese riceva, discretamente, su un conto privilegiato che
gli apriamo, questi soldi». Il che puntualmente avvenne tra il 1972 e il
1973, quando l'ormai affermato reporter tornò da Mattioli a dire: «Non ho
più bisogno dei mille dollari al mese» (ma qui le date proposte da Terzani
non tornano del tutto, visto che lui dice di essere partito per l'Oriente a
fine 1971 e Mattioli venne estromesso dalla Comit il 22 a-prile 1972). In
una stagione in cui sembra normale che i giornalisti facciano anche gli
informatori, potrebbe sembrare un innocuo contratto di consulenza tra un
imprenditore alla ricerca di notizie utili e un giovane bisognoso di soldi
per avviare la sua nuova avventura; tra l'altro - rivela il biografo
Giancarlo Galli - Mattioli incontrava volentieri «i cronisti migliori...
senza distinzioni politiche "purché siano di razza"». Se non fosse per due
elementi. Il primo e più prosaico è l'entità della paga: 1000 dollari
esentasse di quell e-poca, se non ingannano le stime e i cambi,
corrispondono a circa 4500 euro attuali! Al valore dei primi anni Settanta,
la cifra equivaleva a 6 volte lo stipendio medio, che si aggirava sulle 120
mila lire: niente male, per un solo «rapporto di geopolitica» al mese, no?
Comunque, l'elemento più sorprendente è un altro, e cioè l'apparente
assoluta distanza ideale tra i protagonisti della vicenda. Da una parte
Terzani, che si autodescrive come ferocemente antiamericano e di sinistra -
tanto che voleva far nascere il primo figlio a Cuba e chiamarlo Mao (sic!)
-, amico di molti contestatori, simpatizzante delle varie rivoluzioni
comuniste dell'epoca, insomma uno che studiava la Cina come un paradiso in
cui cercare «un'alternativa al mondo occidentale» e aveva scritto persino un
elogio del Grande Timoniere, rimasto «fortunatamente» (avverbio dell'autore)
inedito.
Dall'altra parte Mattioli, ovvero il simbolo stesso del potere oligarchico e
altoborghese, il burattinaio occulto dei peggiori capitalisti «oppressori
del popolo», lo spregiudicato manovratore di trame internazionali che poteva
ospitare a casa sua addirittura Rockefeller: il quale, nell'immaginario
dell'epoca, era il contraltare esatto di MAO. Com'è possibile che TT, il
quale protesta scelte assolutamente «morali» (anche se all'epoca
parzialmente differenti da quelle dell'ultima parte di vita) e la sua
sincera ricerca della «verità», non sapesse queste cose, anzi addirittura
accettasse emolumenti così cospicui dalla parte opposta a quella per cui
diceva di lottare? E c'è un altro livello di lettura, quello «religioso».
Mattioli era anche il banchiere «eretico», non credente e anzi ferocemente
anticlericale fattosi però seppellire nel 1973 (grazie a una procedura
eccezionale tenacemente e personalmente perseguita) all'abbazia di
Chiaravalle e nella tomba di un'eretica boema, né si può ignorare che -
secondo le indagini di Maurizio Blondet - egli avrebbe fatto parte di un
inquietante gruppo intellettuale di tendenza gnostica e nichilista. In
questo senso, il «rivoluzionario» e maoista Terzani poteva ben incontrare
l'interesse del vecchio banchiere (il quale, del resto, non aveva mai
disdegnato di trattare anche coi comunisti, da Togliatti in poi). È pure
curioso infine che Mattioli sia stato introdotto alla sfolgorante carriera
Comit - durata ben 47 anni - dalla seconda moglie e da un'amica del
banchiere Giuseppe Toeplitz, rispettivamente l'una cultrice di esoterismo
tibetano e l'altra esperta di induismo: e qui sembra che l'ultimo Terzani,
versione «guru», abbia davvero chiuso il cerchio, ripagando abbondantemente
il suo debito inconscio con l'antico e generoso finanziatore.